RECENSIONE || Il giardino dei cosacchi di Jan Brokken

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Nella vita mirava a tre sole cose: scrivere (confessava al fratello in tutta umiltà che riteneva di avere talento), pubblicare (le due cose erano per lui indissolubilmente legate; scriveva per essere letto e non per il proprio piacere, ma non poteva pubblicare finché non fosse stato riabilitato) e sposare l’amore della sua vita.
In quell’ordine.

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17408029_10212419249257610_1779140015_oSono una ragazza che crede molto nel destino. Mi piace pensare che se qualcosa deve accadere, in qualche modo accadrà prima o poi. Forse non nel preciso istante in cui lo desideriamo, ma un giorno avverrà e per me quel tanto atteso “qualcosa” effettivamente è accaduto. Giusto qualche giorno fa, ho pubblicato un articolo in cui ho voluto condividere qui il mio disagio nato e cresciuto a dismisura per via di alcuni romanzi che, ormai, non sono più nelle mie corde da lettrice. Ho condiviso il disagio che, già da troppo tempo, mi ha accompagnato e che non mi ha permesso di trarre alcuna soddisfazione dalle letture intraprese. Come dicevo, credo molto nel destino e la collaborazione con Iperborea non poteva capitare in un momento migliore. Forse vi potrà suonare anche esagerato considerato che i soggetti in questione per alcuni sono “solo libri” e me ne dispiace, perché in questo caso non penso che intendiate la lettura come la intendo io. Ho concluso Il giardino dei cosacchi qualche giorno fa, ma ho atteso per scriverne la recensione. Ho atteso, in modo tale da tenere ancora per un po’ solo per me l’esclusiva sulle emozioni che mi ha provocato. Per quasi un anno ho avuto dentro solo insoddisfazioni, ma Jan Brokken ha saputo eliminarle tutte sino all’ultimo frammento per aprirmi, invece, le porte ad una letteratura totalmente nuova e colma di trepidazione, solamente raccontando una storia. Ma non fatevi fuorviare dai termini, questa storia è tutto tranne che semplice. D’altronde abbiamo mai letto di amori, guerre, libertà, diritti, battaglie o amicizie semplici?

«So di aver fatto cose insensate per lei e non ho quasi più nessuna speranza, ma in ogni caso me ne infischio. Non penso che a quello.Vederla, sentirla, nient’altro! Sono un povero stupido! Amare così è una malattia!»

Queste sono le tematiche racchiuse all’interno de Il giardino dei cosacchi, raccontate attraverso l’amicizia tra il barone Alexander von WrangelFédor Dostoevskij… sì lo stesso Dostoevskij de L’idiota o Delitto e Castigo, ma qui Brokken vuole mostrare soprattutto il Dostoevskij autore de Memorie dalla casa dei morti.
Siamo, infatti, nella San Pietroburgo del 1849 dove, in seguito all’essere stato accusato di un complotto nei confronti dello Zar, Fëdor viene risparmiato proprio di fronte al plotone d’esecuzione. Gli viene risparmiata la vita, a patto di scontare una pena come deportato in Siberia, un luogo ostile e desolato. Qualche anno dopo, Alexander viene nominato procuratore della città kazaca dove Dostoevskij sta scontando ancora la pena, in trepidante attesa di ricevere la grazia. E’ proprio sul cupo sfondo della città di Semipalatinsk che i due si incontrano e tra i quali nasce una profonda amicizia, fatta di confidenze e condivisioni di gioie e dolori. Due uomini in perenne balia dell’amore per due donne sposate, uniti nell’impegno intellettuale e trasportati dagli eventi storici dell’epoca; si sosterranno a vicenda celebrando la loro amicizia nel rifugio rinominato Il giardino dei cosacchi, una vecchia dacia in mezzo alla steppa che i due amici trasformano in un luogo in cui dar sfogo al loro illimitato raziocinio.
E’ davvero interessante come Brokken abbia ricostruito, seppur magari romanzando determinati eventi, l’intera storia nata tra i due solamente basandosi sulla corrispondenza epistolare che il barone Alexander e Dostoevskij si scambiarono nei diversi anni di amicizia. Altrettanto interessante è stato conoscere come Dostoevskij abbia preso spunto dalle sue tristi esperienze per la realizzazione dei suoi scritti, soprattutto in merito a Memorie dalla casa dei morti per il quale fa riferimento alla sua terribile esperienza da deportato.
L’angoscia dell’esperienza vissuta e la successiva sofferenza derivata dalla sua impossibilità di pubblicazione che era a rischio di grandi e gravi censure, viene tutta riportata su carta ed è palpabile in tutta la lettura nello stato d’animo che accompagna perennemente Dostoevskij.

«Non avrei dovuto farlo. Non ero me stesso. Quando me lo hanno chiesto, ho risposto di no. Ovviamente avevo paura di un attacco. Poi hanno continuato ad insistere, dicendo che i miei lettori avevano tanta voglia di vedermi e di sentirmi dopo il lungo periodo dell’esilio, non potevo ritirarmi… Non riesco mai a dire di no, mai, mai, non riesco mai a negare niente alla gente. La prima lettura dopo il mio ritorno… Dio mio, se non ci fosse stato voi, sarebbe andata a finire male. Voi mi avete salvato. Voi, tu, voi, tu… caro amico del Giardino dei cosacchi… »

Gli eventi raccontati dal punto di vista del barone sono davvero ottimali per comprendere quanto la sua giovane età non comporti di conseguenza ingenuità in quanto Alexander, nel corso degli eventi, sarà colui che si batterà con più impegno per donare a Fëdor la grazia, cercando di riabilitarlo e di concedergli la possibilità di poter nuovamente pubblicare le sue opere senza la paura di una censura; aggiudicandosi di conseguenza la stima e l’affetto di Dostoevskij.
Sono rimasta altrettanto affascinata dalla tipologia di amore che viene raccontato, un amore antico e onesto. Premuroso ed impaziente di sbocciare in tutta la sua passionalità. Tanto quanto la sofferenza e la solitudine, tra le pagine è puramente percettibile ciò che l’amore è in grado di scatenare nell’animo umano, ciò grazie all’intensità di alcuni termini, a tratti semplici, utilizzati da Brokken. Ed è proprio questo uno dei punti di forza del romanzo, lo stile utilizzato dall’autore del tutto scorrevole, leggero, semplice e allo stesso tempo sorprendente, trattando temi che molti rischiano di far risultare solamente pesanti.

Una sera gli chiesi senza giri di parole cosa lo attraesse tanto in Marija Dmitrievna. Non dovette pensarci a lungo.
«L’ignoto.»

E nonostante tutto, può lo stesso romanzo che ti ha 17408530_10212411904914006_542576765_ofatto riscoprire l’amore per la lettura, farti versare lacrime amare non appena girata l’ultima pagina? La risposta è un gigantesco e sofferente SI’, può eccome. Non appena finito il romanzo, tutto ciò che Alexander e Dostoevskij con la loro profonda amicizia mi avevano insegnato, è stato totalmente stravolto e messo in discussione. Non ero pronta ad un finale di tale portata e, quindi, è questo un aspetto negativo? Assolutamente NO, è proprio dopo aver metabolizzato l’evento finale che si comprende la potenza di questo romanzo e l’importanza di ogni singola pagina.
Ultimo, ma non meno importante, ho apprezzato l’utilizzo delle note in fondo al romanzo, le quali hanno donato alla lettura un ulteriore stimolo di venir a conoscenza dati e fatti realmente accaduti nello scenario russo.
Leggetelo. Leggetelo. Leggetelo e non ve ne pentirete. Non poteva capitarmi romanzo migliore in questa mio desiderio di nuove e differenti letture che lascino il segno.

voto:5

PluffaCalderone
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Titolo: Il giardino dei cosacchi
Autore:
Jan Brokken
Editore: Iperborea
Numero di pagine: 400
Prezzo: 18,50 euro
Trama: San Pietroburgo 1849, Fëdor Dostoevskij è davanti al plotone d’esecuzione, accusato di un complotto contro lo zar. Solo all’ultimo secondo viene risparmiato dalla morte e deportato in Siberia. Il ventenne Alexander von Wrangel, barone russo di origini baltiche, ricorda bene la scena quando qualche anno dopo è nominato procuratore della città kazaca dove Fëdor sta ancora scontando la pena, nella logorante attesa della grazia. Due spiriti affini, uniti dal fervore etico e intellettuale e innamorati perdutamente di due donne sposate: il giovane baltico della femme fatale Katja, e Dostoevskij della fragile ed eternamente infelice Marija. Confidenti, complici e compagni di sventura, Fëdor e Alexander si aggrappano uno all’altro come a un’ancora di salvezza nella desolazione siberiana, riuscendo a ritagliarsi un rifugio nel «Giardino dei cosacchi», vecchia dacia in mezzo alla steppa che diventa un’oasi di pensiero e poesia nella corruzione dell’Impero. In un appassionante romanzo «russo» basato su documenti, memorie e lettere giunte fino a noi, Brokken racconta un’amicizia che si intreccia alla storia politica e letteraria di un paese e attraverso la voce del barone Von Wrangel ricompone un ritratto intimo del grande autore ottocentesco. Un uomo «esiliato, tormentato, umiliato e risorto con le sue ultime forze», che vive la scrittura come una necessità febbrile e un’ossessiva indagine sul lato oscuro dell’animo umano, in perenne lotta con i debiti, la malattia e una vita estrema in cui riecheggiano tanti motivi dei suoi capolavori letterari.

L’autore

20121011095835_Brokken3Scrittore, giornalista e viaggiatore olandese. Noto per la capacità di raccontare i grandi protagonisti del mondo letterario e musicale, ha pubblicato numerosi romanzi di successo che la stampa ha avvicinato a Graham Greene e Bruce Chatwin, come l’esordio narrativo De Provincie (1984), da cui è stato tratto un film, Nella casa del pianista(Iperborea 2011) sulla vita di Youri Egorov e Anime baltiche (Iperborea 2014), viaggio in un cruciale ma dimenticato pezzo d’Europa. Nel 2016 Iperborea ha pubblicato anche il romanzo Il giardino dei cosacchi, che racconta dell’amicizia tra Fëdor Dostoevskij e del barone baltico Alexander von Wrangel.

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2 risposte a RECENSIONE || Il giardino dei cosacchi di Jan Brokken

  1. Francesca ha detto:

    Bene, sarà la prossima lettura che farò,
    Grazie.

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